ESOR-
Credente nel sole
lo vide eclissare
della sensazione piacevole
di controllo su quel ch'appare
rimase un sentore scostante:
che in quell'attraente candore
si celasse un'allucinazione cangiante?
---- .
Son pacchetti di bugie,
si accatastan sulle vie.
Chi sia stato il responsabile?
Forse ladri d'apparenza.
"Sì, che inciampi l'uomo fragile
sul primo giudizio d'emergenza!".
Fai un salto ancora un altro,
guardi fuori mica dentro.
Nella foga della corsa
valorizzi ciò ch'è in mostra.
Come ridicole menzogne si fan notare
che gusto trovi a poterle scavalcare
senza porger mai la questione:
che nascondon, per qual ragione?
Cumuli di bugie allora crescon silenziose
mentre sotto ancor muove
quel su cui la prima vi pose…
---
Doppiezza umana
che lascia spazio
alla maniera insana
del proprio vizio.
Che sia coscenziosa
o accidentale la strada
si raggiunge l'esosa
condotta che fiducia dirada.
Ahimè qual natura ci è toccata
di dinamici scienziati
ch'a nullo cercan la Verità proclamata
per mai sentir d'esser appagati .
Spasmi di memorie.
giovedì 29 luglio 2010
lunedì 12 aprile 2010
... un frammento di un mio lavoro.
Questo è uno dei numerosi pezzi col quale provo ad allenare la mia fantasia e la prosa. Un frammento di storia che risponde a dei requisiti per un compito di scrittura, non esattamente un pezzo libero ma abbastanza riuscito =) quindi perchè non cominciare da qui......
Si era incantato di fronte allo specchio.
Scrutava la sua immagine soffermandosi sui solchi che l'età aveva prodotto sul viso. Credeva che sorridendo avrebbe scavato ulteriormente le cosiddette rughe d’espressione, quindi rimaneva immobile provando a raccogliere le energie necessarie per affrontare un'altra giornata di lavoro.
Spense la luce del bagno e si diresse di nuovo nella sua stanza da letto, dove ogni cosa si trovava accasciata nel suo "non luogo" di appartenenza. Forse che la notte precedente una tromba d'aria fosse entrata dalla sua finestra? Fatto sta che lui non aveva sentito nulla.
Radunò tutto quello che gli serviva per comporre un'immagine socialmente accettabile di sé: un completo abbastanza elegante col quale nascondere il suo cuore spezzato e il suo corpo svigorito. Passò le mani sulla camicia e sui pantaloni nel tentativo di lisciarli un po’.
Non ci mise molto a raggiungere l'ufficio; se c'era una cosa che lo rendeva impeccabile era la puntualità. Certo, non era esattamente merito suo se a separare l'uscio di casa dall'ingresso dell'ufficio era una distanza di soli 200 metri.
Nella sua stanza di lavoro asettica, dalle pareti bianche e sgombre, ma con una scrivania di tutto rispetto, poteva giocare all’architetto.
All’accensione del computer e della lampada seguiva per un istante il brillio dei suoi occhi. Tornava presto a corrucciare le sopracciglia. Isuoi zigomi non riuscivano ad essere intaccati da una qualche espressione distesa. Non era facile.
La soddisfazione data dal maneggiare quelle poche armi (un righello, una squadra e un foglio bianco che, senza alcuna grinza, si stendeva sull'ampia scrivania) era frenata dalla fretta con cui le sue idee si tramutavano in una rigida rappresentazione in scala. Non aveva tempo per riconoscere le sue buone trovate o lasciarsi andare all'entusiasmo.
Così non andava poi così fiero della sua creatività, piuttosto ogni tanto lo attraversava qualche sordida idea. Quando posava la matita o allontanava il suo sguardo dallo schermo del PC, col quale si aiutava nel lavoro, chiudeva gli occhi: alzata la testa e, una volta riaperti quelli, proiettava sul soffitto la scena in cui quella splendida creatura del suo genio crollava come un castello di carte per una folata di vento.
Ecco allora che spuntava sul suo volto il ghigno, l'unica forma di riso che si concedeva… Ora come ora...
Niente nei movimenti di quell'uomo così composto, dall'atteggiamento austero e silenzioso avrebbe fatto pensare che la parola "vendetta" rimbombasse nella sua mente.
Per i colleghi del suo studio era un tipo sì, un po’ introverso, ma pieno di ambizione. Quel progetto di costruzione di villette gli avrebbe permesso di vincere il concorso bandito in città. I pronostici della maggior parte confermavano la sua determinazione.
Claudio non era niente di più e niente di meno che questo e gli amici poco di più gli riconoscevano.
Quel giorno staccò dal lavoro per andare a mangiarsi un panino con due foglie di lattuga, salsa rosa, pomodorini freschi e fontina; un panino dal gusto fresco, naturale che fungeva da antidoto contro gli artifici inconfessabili della sua fantasia.
Certo, avrebbe desiderato essere altrove, per lo meno gli sarebbe spettato di essere al suo fianco. Anzi, sicuramente. Anche in quella mezz'ora di pausa che gli era concessa, anziché pranzare solo nella sala di una locanda in cui solo il proprietario lo conosceva, a mala pena.
Impediva a quella malinconia di pervaderlo perché l’avrebbe condotto ad immaginare il suo corpo, le sue curve e il suo sorriso. L'unica immagine che gli occhi della sua memoria mantenevano fissa di fronte a lui era quella di un altro uomo.
E dire che era brutto... Dire che sì, forse avrà avuto qualche ruga in meno sul volto, degli occhi più belli dei suoi, forse aveva un sorriso perfetto e dei bicipiti niente male, probabilmente anche la cosiddetta tartaruga di addominali scolpiti, ma era così sciatto! Non sapeva cosa fosse l'eleganza, non era nessuno. Insulso essere! Il suo lavoro lo portava a migrare da un paese all'altro, nemmeno fosse un animale. Era uno sbruffone, uno scialbo, indegno e soprattutto solo un ragazzo che le aveva portato via sua moglie.
La rabbia incalzava dentro di lui e i denti affondavano con energia nel doppio strato di pane senza preoccuparlo della salsa che gocciolava nel piatto.
Claudio fissava la televisione accesa che trasmetteva il telegiornale dell’una.
Omicidi, ritrovamenti di cadaveri e ancora qualche caso da tribunale penale spiccavano tra le prime notizie, poi le solite cavolate pronunciate da politici in combutta, poi la giornalista mandò in onda un servizio dedicato ai rimedi contro l'invecchiamento cutaneo. Interessante. Interessante un cavolo. Infine qualche sculettatrice di quelle che occupano un posto fisso accanto ai conduttori televisivi raccontava la sua difficile scalata al successo.
Ed era in un crescendo di tensione che seguiva lo scorrere delle immagini, ciascuna di esse rimandava in qualche modo a un percorso già tracciato per i suoi pensierie, strade spianate di fronte al desiderio di cancellare dalla faccia della terra quel ragazzetto assicurandosi di non lasciar alcuna traccia. Strade fosche a tratti per il timore di trovarsi un giorno in un aula di tribunale per esser stato fatalmente scoperto. Un viaggio mentale accompagnato dal gracchiare di un corvo, quello era il suono della sua invidia che lo infastidiva; invidia per chi, e qui lo pensava senza ammetterlo, era molto più attraente e interessante di lui.
Tommaso, quello con cui ora se la spassava Samantha era in città. A dargli la notizia era stato Gino, il proprietario della locanda dove ora si trovava.
Tommaso era però fuori dal suo habitat naturale ossia lontano da quei caldi e allegri villaggi turistici presso cui lavorava, in una città piccola certo, dove tutti si conoscevano, ma allo scoperto.
Gli era stato detto che per alcuni mesi avrebbe lavorato in qualche pub organizzando serate di karaoke. Claudio si ricordava come alle ragazze bastasse sentirlo cantare perché quasi si inchinassero ai suoi piedi. Era uno sbruffone... che faceva presa.
Terminò di divorare il panino col quale aveva disseminato di briciole il tavolo assicurandosi però che nessuna facesse capolino sulla sua giacca. Sbatté sonoramente il bicchiere sul tavolo dopo aver bevuto l'ultimo sorso, forse per dare prova della sua presenza, ma a chi non era dato sapere.
Pagò di tutta fretta con un sorriso forzato e, valigetta in mano, si diresse fuori.
Il freddo non lo confortava affatto, anzi, gli pareva che quell'atmosfera autunnale facesse a pugni con la digestione del "panino primavera". Quindi cominciò ad accelerare il passo nel tentativo di scaldarsi un po’ per raggiungere l'ufficio. Doveva sistemare il suo ultimo progetto e fare delle chiamate di verifica, contava di impiegarci massimo un'oretta e poi si sarebbe preso il pomeriggio libero.
Una volta conclusa la giornata di lavoro Claudio tornò a casa sua, l'abitazione che divideva con il disordine di cui era lui stesso il fautore. Per una strana teoria, mantenendo le cose fuori posto gli pareva che qualcosa si muovesse intorno a lui: l'energia del caos che portava dentro di sé trovava una perfetta rappresentazione in quel disordine.
Contrariamente a quando c'era sua moglie. Il disordine allora era una presenza fugace.
Quella di lei era una cura maniacale per l'ordine come per la pulizia, che la portava a sciabbatare da una stanza all'altra, probabilmente perché preferiva parlare con la polvere che con lui. Effettivamente non funzionava da un po’, pensava Claudio.
Erano le 20.00 di sera quando accese lo stereo per cercare di coprire il rumore di quel circolo vizioso di pensieri che lo accompagnava dal risveglio. Nonostante il volume alto della musica riuscì a distinguere dopo pochi minuti il suono del cellulare che squillava accompagnato alla sua vibrazione. Afferrò l'apparecchio e rispose.
"Pronto?"
"Sì, chi parla?"
"Michele. Scusami Claudio ma ti sto chiamando da casa di Romina perché mi sono fermato a cena da lei stasera. Come stai?"
Michele era il suo amico, probabilmente l'unico amico che frequentava. Egli sopportava i suoi lunghi silenzi che riempivano le loro conversazioni da quando si era separato. Michele era un uomo in gamba, ma che non aveva avuto la sua stessa fortuna lavorativa. Un insegnante di lettere disoccupato che però non smetteva di preoccuparsi degli amici e della fidanzata.
"Michele, ciao. Non c’è male. Oggi ho concluso il progetto per quelle villette di Spoleto. Fra qualche settimana saprò come mi sarò piazzato al concorso".
"Oh, ma guarda un po’, allora arrivo giusto in tempo per proporti di anticipare i festeggiamenti! Sono sicuro che hai fatto un lavoro che ti farà volare in vetta ai primi posti. C'è una festa a tema in città stasera. Che ne dici di rispolverare il tuo look anni 60? è richiesto quel tipo di vestiario. Insomma abbandona giacca e cravatta nell'armadio".
Magari non nell’armadio, ma buttati da qualche parte dove nessuno sarebbe venuto a sistemarli, pensava Claudio.
A Claudio stava venendo in mente quella t-shirt un pò sbiadita e quel berretto sfilacciato che conservava in uno scatolone con tutte le franciusaglie di quando era giovane.
Conservava un lato di sé nostalgico per la sua giovinezza e lo preservava con una manciata di zollette di canfora e naftalina gettate nei sacri scatoloni di oggetti e vestiti dei bei tempi.
Siccome Michele non riceveva alcune risposta insistette:
"Sì lo so, scusami se la proposta arriva così in ritardo... Che fai riesci a prepararti nel giro di una mezz'ora?"
"Va bene va bene. Dove ci troviamo?"
"Nei pressi di “The moon”. Il locale che trovi all’angolo di Via Mostaciti. Fatti trovare lì per le 21, massimo 21.30".
“Ok”.
Raggiunse il locale indossando sotto la giacca in pelle una maglietta con il nome del suo gruppo preferito di quando era giovane i "Rolling Stones" e con in testa un cappellino con tanto di linguaccia e labbra rosse, simbolo del gruppo musicale. Con una quella giacca, il berretto e un paio di jeans nuovi non si trovava poi così buffo. Anzi, quel look gli conferiva un'aria migliore.
Vicino al locale trovò una folla di gente, più attentamente scorse una macchia di uomini vestiti da poliziotti. Saranno stati una ventina. Un attimo. Non poteva essere un travestimento per la festa, quelli dovevano essere veri, pensò.
"Che cosa è successo?" Chiese Claudio a una delle persone che erano davanti a lui.
"Qualcuno è stato picchiato e l’uomo è scappato via".
Tra le file di gambe che lo separavano dal luogo del fatto scorse un ragazzo accasciato a terra in una pozza di sangue. L'aggressore no, non si era limitato a causargli qualche livido.
A Claudio inizialmente gli prese un tonfo al cuore per la vista del sangue, poi tese le orecchie e senti che la Polizia farfugliava qualcosa riguardo a delle dosi di droga ritrovate nelle tasche del ragazzo.
Alla domanda "chissà per quale motivo era stato aggredito" la polizia stava avanzando le prime ipotesi.
Claudio di fronte a quel marasma non voleva restarci. Ci mancava di sentirsi coinvolto in un altro episodio negativo, ma la curiosità lo spinse a cercare con gli occhi il volto del ragazzo che si trovava accasciato a terra.
Un fuoco divampò in lui. Era l'ossessivo desiderio di una vendetta che, tenuto a freno fino ad allora, si era infiammato.
“Ah ah ah ah ah!”una fragorosa risata e molte delle persone che lo circondavano si girarono per guardarlo.
La malata soddisfazione lo stimolava a un’esuberante manifestazione dei suoi pensieri dinnanzi a quello che stava diventando il “suo” pubblico.
"Ben ti sta, maledetto pezzente. Dio, e chi per mano sua, ti ha inflitto la tua punizione".
A terra era il corpo di Tommaso.
Trattenendosi, con passo controllato e nascondendo il suo ghigno con una mano decise di farsi spazio tra la gente e avvicinarsi a Tommaso, finché poteva.
"Puh". Claudio benedisse il corpo martoriato di quel ragazzo con un tocco della sua saliva. Quel gesto non fu sufficiente per sottrarlo al suo ruolo di protagonista di un dramma interiore che ora si incontrava con la realtà dei fatti.
Ribadì a gran tono:
"Signori e signore, dovete sapere che questo ragazzo ha ricevuto la sua giusta punizione. Sì, questo figlio di buona madre ha ricevuto la sua meritata punizione".
La gente era allibita, ma soprattutto incapace di interpretare l'espressione di godimento sul volto di quell’uomo travestito da ragazzino. Un gran brusio iniziò ad alzarsi.
Mentre due uomini della polizia si avvicinavano per braccarlo, Claudio si tolse il berretto dalla testa, fece un inchino al suo improvvisato pubblico e gettò l’ultimo sguardo al corpo di Tommaso esamine. Allontanandosi pensò tra sé e sé che il mandatario che aveva ingaggiato per la vendetta aveva compiuto il suo dovere a perfezione.
Sì, a PERFEZIONE: senza avvisarlo prima di compiere il fatto, ma permettendogli di assistere allo spettacolo per una rivalsa piena.
Claudio venne trascinato nella volante della polizia che lo avrebbe portato al comando per ulteriori chiarimenti sulla sua posizione.
Il pubblico di quella sera composto da conoscenti, Michele e chi altro malauguratamente aveva assistito alla scena, avrebbe parlato alle sue spalle per l’intera notte. Michele tornando a casa di Romina cercava invano di capire quale altro Claudio si fosse da tempo nascosto ai suoi occhi………….................................
Si era incantato di fronte allo specchio.
Scrutava la sua immagine soffermandosi sui solchi che l'età aveva prodotto sul viso. Credeva che sorridendo avrebbe scavato ulteriormente le cosiddette rughe d’espressione, quindi rimaneva immobile provando a raccogliere le energie necessarie per affrontare un'altra giornata di lavoro.
Spense la luce del bagno e si diresse di nuovo nella sua stanza da letto, dove ogni cosa si trovava accasciata nel suo "non luogo" di appartenenza. Forse che la notte precedente una tromba d'aria fosse entrata dalla sua finestra? Fatto sta che lui non aveva sentito nulla.
Radunò tutto quello che gli serviva per comporre un'immagine socialmente accettabile di sé: un completo abbastanza elegante col quale nascondere il suo cuore spezzato e il suo corpo svigorito. Passò le mani sulla camicia e sui pantaloni nel tentativo di lisciarli un po’.
Non ci mise molto a raggiungere l'ufficio; se c'era una cosa che lo rendeva impeccabile era la puntualità. Certo, non era esattamente merito suo se a separare l'uscio di casa dall'ingresso dell'ufficio era una distanza di soli 200 metri.
Nella sua stanza di lavoro asettica, dalle pareti bianche e sgombre, ma con una scrivania di tutto rispetto, poteva giocare all’architetto.
All’accensione del computer e della lampada seguiva per un istante il brillio dei suoi occhi. Tornava presto a corrucciare le sopracciglia. Isuoi zigomi non riuscivano ad essere intaccati da una qualche espressione distesa. Non era facile.
La soddisfazione data dal maneggiare quelle poche armi (un righello, una squadra e un foglio bianco che, senza alcuna grinza, si stendeva sull'ampia scrivania) era frenata dalla fretta con cui le sue idee si tramutavano in una rigida rappresentazione in scala. Non aveva tempo per riconoscere le sue buone trovate o lasciarsi andare all'entusiasmo.
Così non andava poi così fiero della sua creatività, piuttosto ogni tanto lo attraversava qualche sordida idea. Quando posava la matita o allontanava il suo sguardo dallo schermo del PC, col quale si aiutava nel lavoro, chiudeva gli occhi: alzata la testa e, una volta riaperti quelli, proiettava sul soffitto la scena in cui quella splendida creatura del suo genio crollava come un castello di carte per una folata di vento.
Ecco allora che spuntava sul suo volto il ghigno, l'unica forma di riso che si concedeva… Ora come ora...
Niente nei movimenti di quell'uomo così composto, dall'atteggiamento austero e silenzioso avrebbe fatto pensare che la parola "vendetta" rimbombasse nella sua mente.
Per i colleghi del suo studio era un tipo sì, un po’ introverso, ma pieno di ambizione. Quel progetto di costruzione di villette gli avrebbe permesso di vincere il concorso bandito in città. I pronostici della maggior parte confermavano la sua determinazione.
Claudio non era niente di più e niente di meno che questo e gli amici poco di più gli riconoscevano.
Quel giorno staccò dal lavoro per andare a mangiarsi un panino con due foglie di lattuga, salsa rosa, pomodorini freschi e fontina; un panino dal gusto fresco, naturale che fungeva da antidoto contro gli artifici inconfessabili della sua fantasia.
Certo, avrebbe desiderato essere altrove, per lo meno gli sarebbe spettato di essere al suo fianco. Anzi, sicuramente. Anche in quella mezz'ora di pausa che gli era concessa, anziché pranzare solo nella sala di una locanda in cui solo il proprietario lo conosceva, a mala pena.
Impediva a quella malinconia di pervaderlo perché l’avrebbe condotto ad immaginare il suo corpo, le sue curve e il suo sorriso. L'unica immagine che gli occhi della sua memoria mantenevano fissa di fronte a lui era quella di un altro uomo.
E dire che era brutto... Dire che sì, forse avrà avuto qualche ruga in meno sul volto, degli occhi più belli dei suoi, forse aveva un sorriso perfetto e dei bicipiti niente male, probabilmente anche la cosiddetta tartaruga di addominali scolpiti, ma era così sciatto! Non sapeva cosa fosse l'eleganza, non era nessuno. Insulso essere! Il suo lavoro lo portava a migrare da un paese all'altro, nemmeno fosse un animale. Era uno sbruffone, uno scialbo, indegno e soprattutto solo un ragazzo che le aveva portato via sua moglie.
La rabbia incalzava dentro di lui e i denti affondavano con energia nel doppio strato di pane senza preoccuparlo della salsa che gocciolava nel piatto.
Claudio fissava la televisione accesa che trasmetteva il telegiornale dell’una.
Omicidi, ritrovamenti di cadaveri e ancora qualche caso da tribunale penale spiccavano tra le prime notizie, poi le solite cavolate pronunciate da politici in combutta, poi la giornalista mandò in onda un servizio dedicato ai rimedi contro l'invecchiamento cutaneo. Interessante. Interessante un cavolo. Infine qualche sculettatrice di quelle che occupano un posto fisso accanto ai conduttori televisivi raccontava la sua difficile scalata al successo.
Ed era in un crescendo di tensione che seguiva lo scorrere delle immagini, ciascuna di esse rimandava in qualche modo a un percorso già tracciato per i suoi pensierie, strade spianate di fronte al desiderio di cancellare dalla faccia della terra quel ragazzetto assicurandosi di non lasciar alcuna traccia. Strade fosche a tratti per il timore di trovarsi un giorno in un aula di tribunale per esser stato fatalmente scoperto. Un viaggio mentale accompagnato dal gracchiare di un corvo, quello era il suono della sua invidia che lo infastidiva; invidia per chi, e qui lo pensava senza ammetterlo, era molto più attraente e interessante di lui.
Tommaso, quello con cui ora se la spassava Samantha era in città. A dargli la notizia era stato Gino, il proprietario della locanda dove ora si trovava.
Tommaso era però fuori dal suo habitat naturale ossia lontano da quei caldi e allegri villaggi turistici presso cui lavorava, in una città piccola certo, dove tutti si conoscevano, ma allo scoperto.
Gli era stato detto che per alcuni mesi avrebbe lavorato in qualche pub organizzando serate di karaoke. Claudio si ricordava come alle ragazze bastasse sentirlo cantare perché quasi si inchinassero ai suoi piedi. Era uno sbruffone... che faceva presa.
Terminò di divorare il panino col quale aveva disseminato di briciole il tavolo assicurandosi però che nessuna facesse capolino sulla sua giacca. Sbatté sonoramente il bicchiere sul tavolo dopo aver bevuto l'ultimo sorso, forse per dare prova della sua presenza, ma a chi non era dato sapere.
Pagò di tutta fretta con un sorriso forzato e, valigetta in mano, si diresse fuori.
Il freddo non lo confortava affatto, anzi, gli pareva che quell'atmosfera autunnale facesse a pugni con la digestione del "panino primavera". Quindi cominciò ad accelerare il passo nel tentativo di scaldarsi un po’ per raggiungere l'ufficio. Doveva sistemare il suo ultimo progetto e fare delle chiamate di verifica, contava di impiegarci massimo un'oretta e poi si sarebbe preso il pomeriggio libero.
Una volta conclusa la giornata di lavoro Claudio tornò a casa sua, l'abitazione che divideva con il disordine di cui era lui stesso il fautore. Per una strana teoria, mantenendo le cose fuori posto gli pareva che qualcosa si muovesse intorno a lui: l'energia del caos che portava dentro di sé trovava una perfetta rappresentazione in quel disordine.
Contrariamente a quando c'era sua moglie. Il disordine allora era una presenza fugace.
Quella di lei era una cura maniacale per l'ordine come per la pulizia, che la portava a sciabbatare da una stanza all'altra, probabilmente perché preferiva parlare con la polvere che con lui. Effettivamente non funzionava da un po’, pensava Claudio.
Erano le 20.00 di sera quando accese lo stereo per cercare di coprire il rumore di quel circolo vizioso di pensieri che lo accompagnava dal risveglio. Nonostante il volume alto della musica riuscì a distinguere dopo pochi minuti il suono del cellulare che squillava accompagnato alla sua vibrazione. Afferrò l'apparecchio e rispose.
"Pronto?"
"Sì, chi parla?"
"Michele. Scusami Claudio ma ti sto chiamando da casa di Romina perché mi sono fermato a cena da lei stasera. Come stai?"
Michele era il suo amico, probabilmente l'unico amico che frequentava. Egli sopportava i suoi lunghi silenzi che riempivano le loro conversazioni da quando si era separato. Michele era un uomo in gamba, ma che non aveva avuto la sua stessa fortuna lavorativa. Un insegnante di lettere disoccupato che però non smetteva di preoccuparsi degli amici e della fidanzata.
"Michele, ciao. Non c’è male. Oggi ho concluso il progetto per quelle villette di Spoleto. Fra qualche settimana saprò come mi sarò piazzato al concorso".
"Oh, ma guarda un po’, allora arrivo giusto in tempo per proporti di anticipare i festeggiamenti! Sono sicuro che hai fatto un lavoro che ti farà volare in vetta ai primi posti. C'è una festa a tema in città stasera. Che ne dici di rispolverare il tuo look anni 60? è richiesto quel tipo di vestiario. Insomma abbandona giacca e cravatta nell'armadio".
Magari non nell’armadio, ma buttati da qualche parte dove nessuno sarebbe venuto a sistemarli, pensava Claudio.
A Claudio stava venendo in mente quella t-shirt un pò sbiadita e quel berretto sfilacciato che conservava in uno scatolone con tutte le franciusaglie di quando era giovane.
Conservava un lato di sé nostalgico per la sua giovinezza e lo preservava con una manciata di zollette di canfora e naftalina gettate nei sacri scatoloni di oggetti e vestiti dei bei tempi.
Siccome Michele non riceveva alcune risposta insistette:
"Sì lo so, scusami se la proposta arriva così in ritardo... Che fai riesci a prepararti nel giro di una mezz'ora?"
"Va bene va bene. Dove ci troviamo?"
"Nei pressi di “The moon”. Il locale che trovi all’angolo di Via Mostaciti. Fatti trovare lì per le 21, massimo 21.30".
“Ok”.
Raggiunse il locale indossando sotto la giacca in pelle una maglietta con il nome del suo gruppo preferito di quando era giovane i "Rolling Stones" e con in testa un cappellino con tanto di linguaccia e labbra rosse, simbolo del gruppo musicale. Con una quella giacca, il berretto e un paio di jeans nuovi non si trovava poi così buffo. Anzi, quel look gli conferiva un'aria migliore.
Vicino al locale trovò una folla di gente, più attentamente scorse una macchia di uomini vestiti da poliziotti. Saranno stati una ventina. Un attimo. Non poteva essere un travestimento per la festa, quelli dovevano essere veri, pensò.
"Che cosa è successo?" Chiese Claudio a una delle persone che erano davanti a lui.
"Qualcuno è stato picchiato e l’uomo è scappato via".
Tra le file di gambe che lo separavano dal luogo del fatto scorse un ragazzo accasciato a terra in una pozza di sangue. L'aggressore no, non si era limitato a causargli qualche livido.
A Claudio inizialmente gli prese un tonfo al cuore per la vista del sangue, poi tese le orecchie e senti che la Polizia farfugliava qualcosa riguardo a delle dosi di droga ritrovate nelle tasche del ragazzo.
Alla domanda "chissà per quale motivo era stato aggredito" la polizia stava avanzando le prime ipotesi.
Claudio di fronte a quel marasma non voleva restarci. Ci mancava di sentirsi coinvolto in un altro episodio negativo, ma la curiosità lo spinse a cercare con gli occhi il volto del ragazzo che si trovava accasciato a terra.
Un fuoco divampò in lui. Era l'ossessivo desiderio di una vendetta che, tenuto a freno fino ad allora, si era infiammato.
“Ah ah ah ah ah!”una fragorosa risata e molte delle persone che lo circondavano si girarono per guardarlo.
La malata soddisfazione lo stimolava a un’esuberante manifestazione dei suoi pensieri dinnanzi a quello che stava diventando il “suo” pubblico.
"Ben ti sta, maledetto pezzente. Dio, e chi per mano sua, ti ha inflitto la tua punizione".
A terra era il corpo di Tommaso.
Trattenendosi, con passo controllato e nascondendo il suo ghigno con una mano decise di farsi spazio tra la gente e avvicinarsi a Tommaso, finché poteva.
"Puh". Claudio benedisse il corpo martoriato di quel ragazzo con un tocco della sua saliva. Quel gesto non fu sufficiente per sottrarlo al suo ruolo di protagonista di un dramma interiore che ora si incontrava con la realtà dei fatti.
Ribadì a gran tono:
"Signori e signore, dovete sapere che questo ragazzo ha ricevuto la sua giusta punizione. Sì, questo figlio di buona madre ha ricevuto la sua meritata punizione".
La gente era allibita, ma soprattutto incapace di interpretare l'espressione di godimento sul volto di quell’uomo travestito da ragazzino. Un gran brusio iniziò ad alzarsi.
Mentre due uomini della polizia si avvicinavano per braccarlo, Claudio si tolse il berretto dalla testa, fece un inchino al suo improvvisato pubblico e gettò l’ultimo sguardo al corpo di Tommaso esamine. Allontanandosi pensò tra sé e sé che il mandatario che aveva ingaggiato per la vendetta aveva compiuto il suo dovere a perfezione.
Sì, a PERFEZIONE: senza avvisarlo prima di compiere il fatto, ma permettendogli di assistere allo spettacolo per una rivalsa piena.
Claudio venne trascinato nella volante della polizia che lo avrebbe portato al comando per ulteriori chiarimenti sulla sua posizione.
Il pubblico di quella sera composto da conoscenti, Michele e chi altro malauguratamente aveva assistito alla scena, avrebbe parlato alle sue spalle per l’intera notte. Michele tornando a casa di Romina cercava invano di capire quale altro Claudio si fosse da tempo nascosto ai suoi occhi………….................................
mercoledì 10 febbraio 2010
Introduzione noiosa ad una fase FANTASIOSA.
Non mi presento.
Scelgo di dare un'impronta indefinita a questo spazio, per rendere al meglio la corrispondenza tra le innumerevoli possibilità di giocar con le parole e le estemporanee forme che crescono in fretta, durante, dopo un dolce navigare pensando.
Mi ispirerei a Jame Joyce e Virginia Woolf per gli esiti sintatticamente scorretti qualora un irrefrenabile flusso di coscienza saturasse pagine e pagine web. Desisto, se possibile, da questo proposito.
Una forma più apprezzabile a un pubblico ignoto, narrativamente corretta, per dar voce al silenzioso colloquio tra me e me stessa (e il mondo che mi piace percepire), prenderebbe come riferimento Svevo, autore del "La coscienza di Zeno", che in passato ha mietuto vittime di accidentali lettori in cerca di un romanzo scorrevole e di "felicioso" trasporto; Il risultato imprevisto e insolito per i primi lettori (immagino) fu il doversi, con sofferente trasporto narrativo, sintonizzare su un livello di espressione del sè così intimo... Ah! Le intime confessioni di un personaggio letterario se fossero parte di un dialogo fittizio tra Caio e un accidentale interlocutore Tizio, ancora oggi, genererebbero imbarazzo. Nella realtà dei fatti è così.
[Evitabili doverose divagazioni].
"I nostri pensieri, prima d'ogni altra esperienza ci imbarazzano". =O
Una frase sentenziosa, che ritiro come tale, ma da qui si dipana un'altra minima riflessione. Intendo parlare di una consuetudine che fa "uomo": l'accurata selezione di "escamotages" che meglio lo vestono di autodeterminazione, per non insospettire nessuno delle tempeste interiori che lo scuotono quotidianamente OSSIA quel che decidiamo di fare, l'operare quotidiano, atti che prevedono principio e conclusione.
Eppure, nessun metereologo arriverà mai a determinare l'umore stabile dei suoi ascoltatori, nessun Omero riscriverebbe per ciascuno di noi la conclusione di un lungo navigare persuadendoci di poter giungere a un definitivo approdo (neppure Ulisse ebbe davvero questo privilegio).
[Vita come costante ricerca, fosse anche solamente interiore, silente, potenziale.]
VARI EXCURSUS A PARTE...
Con un inevitabile sentore di noia che accompagna questo mio rileggermi, chiudo lasciando la parola alla fantasia, per il momento, con l'intenzione di proporre qualcosa di piacevole e scorrevole lettura e, qualora fossi ermetica, disconfermando attese accidentali, spero di suscitare una briciolosa curiosità che... una volta concentrata... dia panetti di personale interpretazione!
Finirei in bellezza se dicessi che:
"Curiosità e interpretazione sono le migliori armi che da sempre sostengono la scoperta di se stessi e degli altri. Anche la scrittura, a suo modo se ne serve". Non mi piace come frase, è apocalittica, un pò dimessa.
Finirei in bruttezza se dicessi qualcos'altro, forse. Allora non finisco .
Ai prossimi "inquietanti" aggiornamenti.
Silvia
SMILE SMILE SMILE!
Scelgo di dare un'impronta indefinita a questo spazio, per rendere al meglio la corrispondenza tra le innumerevoli possibilità di giocar con le parole e le estemporanee forme che crescono in fretta, durante, dopo un dolce navigare pensando.
Mi ispirerei a Jame Joyce e Virginia Woolf per gli esiti sintatticamente scorretti qualora un irrefrenabile flusso di coscienza saturasse pagine e pagine web. Desisto, se possibile, da questo proposito.
Una forma più apprezzabile a un pubblico ignoto, narrativamente corretta, per dar voce al silenzioso colloquio tra me e me stessa (e il mondo che mi piace percepire), prenderebbe come riferimento Svevo, autore del "La coscienza di Zeno", che in passato ha mietuto vittime di accidentali lettori in cerca di un romanzo scorrevole e di "felicioso" trasporto; Il risultato imprevisto e insolito per i primi lettori (immagino) fu il doversi, con sofferente trasporto narrativo, sintonizzare su un livello di espressione del sè così intimo... Ah! Le intime confessioni di un personaggio letterario se fossero parte di un dialogo fittizio tra Caio e un accidentale interlocutore Tizio, ancora oggi, genererebbero imbarazzo. Nella realtà dei fatti è così.
[Evitabili doverose divagazioni].
"I nostri pensieri, prima d'ogni altra esperienza ci imbarazzano". =O
Una frase sentenziosa, che ritiro come tale, ma da qui si dipana un'altra minima riflessione. Intendo parlare di una consuetudine che fa "uomo": l'accurata selezione di "escamotages" che meglio lo vestono di autodeterminazione, per non insospettire nessuno delle tempeste interiori che lo scuotono quotidianamente OSSIA quel che decidiamo di fare, l'operare quotidiano, atti che prevedono principio e conclusione.
Eppure, nessun metereologo arriverà mai a determinare l'umore stabile dei suoi ascoltatori, nessun Omero riscriverebbe per ciascuno di noi la conclusione di un lungo navigare persuadendoci di poter giungere a un definitivo approdo (neppure Ulisse ebbe davvero questo privilegio).
[Vita come costante ricerca, fosse anche solamente interiore, silente, potenziale.]
VARI EXCURSUS A PARTE...
Con un inevitabile sentore di noia che accompagna questo mio rileggermi, chiudo lasciando la parola alla fantasia, per il momento, con l'intenzione di proporre qualcosa di piacevole e scorrevole lettura e, qualora fossi ermetica, disconfermando attese accidentali, spero di suscitare una briciolosa curiosità che... una volta concentrata... dia panetti di personale interpretazione!
Finirei in bellezza se dicessi che:
"Curiosità e interpretazione sono le migliori armi che da sempre sostengono la scoperta di se stessi e degli altri. Anche la scrittura, a suo modo se ne serve". Non mi piace come frase, è apocalittica, un pò dimessa.
Finirei in bruttezza se dicessi qualcos'altro, forse. Allora non finisco .
Ai prossimi "inquietanti" aggiornamenti.
Silvia
SMILE SMILE SMILE!
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